Trieste nel testo di Crivelli diventa complice di un incontro tra due grandi artisti, che si riconoscono nel nome dell’arte. Avviene così, con un cavalletto in un luogo affollato, la conoscenza del tutto occasionale tra Egon Schiele, il famoso pittore espressionista austriaco e James Joyce, per gli amici solo Jim, già autore a quel tempo di Gente di Dublino.
Schiele, seppur molto giovane, ha già soggiornato a Trieste insieme alla sorella, nella fuga che li ha portati nello stesso hotel in cui i loro genitori avevano trascorso la luna di miele. Ci è tornato di proposito, ma non per restarvi, dopo avere trascorso un periodo in prigione a causa delle sue opere, ammirate dai critici ma troppo scandalose per lo sguardo severo del giudice chiamato in causa.
Joyce lo accoglie da padrone di casa nell’amata Trieste, sentendosi più che a suo agio anche se lontano da Dublino, dalla quale gli arrivano solo commenti negativi per i suoi scritti. Entrambi amano le donne, soprattutto giovani, e affidano a queste muse la loro ispirazione, scontrandosi con resistenze e incomprensioni. Tra di loro nasce un’amicizia che sa andare oltre al consueto, per approdare all’essenza delle cose e trasformarla in arte.
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