HERMADA

Strada privata

 

9 marzo 2018 - ore 20.30

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di Renato Sarti

con la consulenza di Fabio e Roberto Todero, Lucio Fabi

e dell’IRSML - Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia

con Valentino Mannias e Renato Sarti

regia Renato Sarti

scena Carlo Sala

musiche Carlo Boccadoro

disegno luci Luca Grimaldi

produzione Teatro della Cooperativa

con il sostegno di Regione Lombardia – Progetto NEXT 2015

 

Presso

Teatro Comunale Giuseppe Verdi

Via S. Giovanni 4, 34015 - Muggia (TS)

 

Durata

80 minuti

Se si guarda fuori dai finestrini posti a sinistra dei vagoni del treno che da Monfalcone porta verso Trieste, si nota una collina larga, non altissima, una sorta di grande mammella che domina gli acquitrini su cui è sorto il grande cantiere navale. È il monte Hermada.

Hermada deriva da una parola slovena che significa catasta di legna; il solo pronunciarne il nome dovrebbe far correre un brivido, al pari di quando si sentono nominare il monte San Michele, il monte Grappa o altre località dove si sono combattute battaglie terrificanti, con costi umani spaventosi. Nella Prima Guerra Mondiale gli austriaci avrebbero voluto lasciare avanzare l’esercito italiano fino alla piana intorno a Lubiana, aspettarlo, affrontarlo e distruggerlo in una grande battaglia. Sembra però che il Kaiser della Germania avesse obiettato che non si poteva lasciar cadere in mano nemica una città importante, anche perché affacciata sul mare, come Trieste, e per questo motivo fu costruita una linea difensiva di fortificazioni e trincee sul Carso, a partire dalle foci dell’Isonzo. L’Hermada, avamposto all’estremo sud di quella lunga linea di fortificazioni che si sviluppava per circa novanta chilometri fino al Trentino, divenne “la porta di Trieste”, e sulle sue brulle e pietrose pendici si consumò un’ecatombe senza pari di fanti italiani e austriaci, anche se la vetta rimase sempre saldamente in mano a questi ultimi.

Il San Michele, invece, è un monte più vicino a Gorizia, distante dall’Hermada poco più di dieci chilometri. Alle sue falde, insieme a bersaglieri e soldati provenienti dalla Calabria e da altre regioni, arrivarono dei reggimenti della Brigata Sassari che, al pari del corpo degli alpini, prevedeva il reclutamento regionale, ed era formata interamente da sardi. Qualche ufficiale più in età, chiamato su studiau, aveva fatto parte dell’Esercito Savoiardo e si era fatto le ossa in Libia, dove aveva appreso le nuove tecniche di guerra. Quegli uomini avevano in comune la terra, la lingua, le usanze, in molti casi erano amici o persino parenti stretti. Forgiati dalla miseria terribile, dalla durissima vita agreste e pastorale, e dal lavoro nelle miniere dell’Isola, erano temprati a ogni avversità. Sapevano cavalcare nascosti sotto la pancia di un cavallo e scavare la roccia; usavano con grande maestria s’arresoja, il coltello tipico sardo, e gli esplosivi; erano capaci di emettere dei fischi secchi, udibili a decine e decine di metri, senza servirsi delle dita, potendo quindi tenere le mani libere per altre funzioni, ed erano abituati ad affrontare ogni condizione climatica, resistendo al gelo, al vento e al torrido caldo estivo.

La distanza fra l’Hermada e il San Michele è inferiore al tiro di un mortaio. Durante la guerra, anche per i bombardamenti e gli incendi che ne derivavano, queste due alture erano delle grigie pietraie.  Gli anni sono passati e il rimboschimento ha mutato quei paesaggi spettrali. Oggi questi due monti sono meta di visite e di magnifiche passeggiate. In primavera il verde delle acacie, delle roverelle, dei carpini, dei pini e dei lecci riprende vita dopo il freddo dell’inverno e le sferzate della bora, che soffia anche a più di cento all’ora. D’estate, lo stesso verde fitto offre una piacevole frescura, mentre nel periodo autunnale il colpo d’occhio cromatico compete con i migliori quadri impressionisti di Monet, Cezanne e Seurat.

Oggi riesce davvero difficile pensare che, sottoterra, i rivoli carsici di quelle zone, per mesi e mesi, sono stati inondati e tinti di rosso. Il Fato ha voluto che mi trovassi ad aprire un teatro proprio in via Hermada, nel quartiere milanese di Niguarda, dove è sempre stata esposta la bandiera della pace. Ho visto in questa combinazione una sorta di “chiamata” e mi sono sentito in dovere di ricordare teatralmente quella immane tragedia che è stata la Prima Guerra Mondiale.

Renato Sarti